Umberto Ambrosoli, avvocato penalista e membro del Comitato Anti-Mafia di Milano, è stato eletto domenica scorsa candidato ufficiale alle elezioni regionali della Lombardia per il centro-sinistra. Tre giorni dopo, mercoledì 19, è stato protagonista dell’incontro “Il dovere della legalità”, presso l’Università degli studi di Trieste. Prima di iniziare il dibattito si è fermato a rispondere alle nostre domande.
Visti i continui scandali di cui si parla, il problema della corruzione è solo dei singoli, solo della politica, oppure si tratta di un fenomeno sociale e culturale?
Direi che è tutti questi elementi messi assieme. Legalità vuol dire certamente rapporto al di fuori di un singolo. Ma il rapporto del singolo rispetto al senso della legalità è fondamentale. Dal punto di vista sociale è estremamente significativo, perché rappresenta un fenomeno nella sua globalità. Dal punto di vista politico, invece, ha al suo interno sia la prospettiva di rendere possibile la legalità, sia quella di garantirla. Il classico problema a tutto tondo.
Se venisse eletto in Lombardia come affronterebbe questo problema?
Io penso che in tutti questi anni – e non mi riferisco solo agli ultimi venti– una grandissima parte di soggetti che hanno ricoperto responsabilità di carattere politico non abbiano colto l’occasione di offrirsi come esempi di legalità. Rappresentarla è una parte fondamentale. Ed è possibile anche se si raggiungono delle posizioni di potere particolarmente consistenti.
Ma quali strumenti utilizzerebbe nel concreto?
Noi dobbiamo pensare a creare un corpo normativo. Dal punto di vista dei poteri regionali la cosa è ovviamente relativa. In ogni caso intendo un corpo normativo snello ed efficace, perché i troppi lacci rendono impossibile l’affermazione della legalità. Questo comitato dovrebbe essere al servizio della comunità e quindi non legato alla protezione degli interessi particolari. A questo bisogna aggiungere dei controlli, che devono essere fatti direttamente dalle istituzioni, ma anche legati ad una responsabilità condivisa. Faccio un esempio: il decreto legislativo numero 231 del 2001 – quello della cosiddetta responsabilità amministrativa e penale degli enti collettivi – individua, in capo ad ogni società privata che voglia evitare determinate circostanze, di dotarsi di un sistema di regole e di controlli per evitare che esponenti stessi della società pongano in essere delle condotte illecite. Questo vuol dire aver condiviso il novero delle responsabilità per la prevenzione di fatti reato fra il pubblico, cioè le istituzioni preposte al contenimento dei fenomeni criminosi, e il privato, quindi il singolo cittadino direttamente coinvolto dal fenomeno stesso. E’ un modello degno di replica.
Secondo lei il Governo Monti come ha affrontato il tema della legalità?
Secondo me ha avuto un approccio estremamente importante. Perché il presupposto della legalità è la verità. Se questa non entra nel linguaggio quotidiano la legalità non può essere applicata. L’essersi liberati del linguaggio della menzogna e dell’ipocrisia è un punto di partenza fondamentale. Riguardo invece alla normativa anti-corruzione, sono fra quelli che ritiene ci sia ancora molto da migliorare. Il fatto stesso che siano riusciti a far approvare un decreto anti-corruzione rappresenta però un impegno concreto verso un decreto che da più di dieci anni doveva trovare applicazione.
Si trova d’accordo con l’affermazione secondo cui la classe politica rappresenta concretamente la popolazione italiana, in quanto per gran parte corrotta?
Si, ma non solo secondo la sua premessa. Esistono anche amministratori che hanno ricevuto delle minacce e dei politici che semplicemente non hanno contatti con la criminalità organizzata. Guardando dunque questa realtà, fatta di chi chiede il contrasto alla lotta organizzata ponendola in essere, e di chi – come nel caso della sua premessa – è invece contiguo, allora noi abbiamo esattamente una fotografia dello Stato e della popolazione. Quest’ultima forse con degli equilibri un po’ diversi, ma non difficili da immaginare. Anzi. Credo però che nella mente dell’uomo - quando prende il potere - accada qualcosa di bizzarro. Dico uomo perché le statistiche ci dicono che le donne sono meno suscettibili, ad esempio, al fenomeno della corruzione. Sapendo questa cosa, dovremmo tutti pretendere una maggiore presenza delle donne nelle istituzioni.
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