È sabato mattina a “Vicino/Lontano”, manifestazione culturale che ogni anno tiene impegnata la città di Udine per un intero fine settimana, tra incontri e dibattiti aperti al pubblico a cui prendono parte esperti, professori e scrittori di tutto il mondo.
Mi trovo nella Chiesa sconsacrata di San Francesco, pronto per seguire il dibattito dal titolo: Diseguali - Fare i Conti Con L’ingiustizia Distributiva, a cui parteciperanno Antonio Calabrò, direttore della Fondazione Pirelli e professore delle università della Bocconi e Cattolica di Milano, il professore di Filosofia Politica della Luiss, Sebastiano Maffettone, ed infine Tito Boeri, uno dei maggiori economisti italiani e professore di Economia alla Bocconi.
Manca ancora mezz’ora all’inizio del dibattito e il mio desiderio è quello di intervistare proprio Tito Boeri per fargli qualche domanda sulla situazione delle università italiane.
L’intervista a Tito Boeri è andata in onda a “The Most” il 7 maggio 2012 e sarà presto ascoltabile in podcast!
Mi ritrovo il professore a pochi metri di distanza, mentre dialoga con un ragazzo della mia età, anch’egli studente. Mi avvicino e, scusandomi di interrompere la loro discussione, mi presento al professore chiedendogli se fosse disponibile a rispondere ad alcune mie domande. Lui mi sorride e molto gentilmente mi risponde che se riesce a finire la sua discussione in tempo lo farà sicuramente. Lo ringrazio e, allontanandomi un poco, mi metto in attesa.
Dopo neanche 5 minuti si avvicina e con aria amichevole mi suggerisce di andare in un posto più silenzioso, in modo tale da poter fare una buona intervista. Prima di cominciare mi chiede informazioni sulle montagne del Friuli, in particolare sullo Zoncolan e sul Crostis, in quanto vorrebbe fortemente visitarle, ma non sa quanto tempo impiegherebbe per raggiungerle.
Dalle montagne, però, ci tocca passare immediatamente ai tasti dolenti della società, tra cui appunto l’università:
- Nella graduatoria stipulata dal settimanale inglese The - Times Higher Education - non risulta alcuna università italiana nelle prime duecento posizioni. Cosa ci manca per essere competitivi a livello internazionale? La proposta di abolire il valore legale del titolo di studio può essere un primo passo in tal senso?
- Ci mancano sicuramente molte cose per competere a livello internazionale e per esserlo dobbiamo raggiungere delle economie di agglomerazione. Per fare ricerca e didattica di livello c’è bisogno di formare una massa critica di ricercatori che siano impegnati direttamente sul campo, e per cui si organizzino incontri e seminari continui. Ma questo risultato può essere raggiunto da poche sedi universitarie. In Italia abbiamo un eccessivo numero di atenei sparsi per il territorio e molti di questi non arrivano nemmeno lontanamente ad avere una discreta massa critica. Dovremmo invece investire su quelle poche realtà che se lo possono permettere e che ne hanno le potenzialità. Le altre sedi dovrebbero svolgere un altro compito, non meno importante, che è quello di una formazione di base, da college, legata al territorio e a qualificazioni intermedie, che sono molto richieste nella società odierna. Questa scelta strategica è mancata in tutti questi anni. Spargere risorse su un numero eccessivo di realtà ci condanna alla mediocrità.
- Secondo un suo recente articolo apparso su L’internazionale, il 56,3% degli studenti laureati nell’anno 2009 era fuori corso. L’università, stando a queste statistiche, è veramente per tutti? Dando la possibilità a tutti di accedervi più facilmente non si dà forse una sorta di illusione di poter raggiungere un lavoro privilegiato, quando invece non è possibile, o quando molti ragazzi sarebbero più portati a seguire altre strade?
- Il problema dei fuori corso è sicuramente legato al fallimento del progetto del tre+due, che doveva risolverlo, ma il cui risultato non è stato di certo soddisfacente. Questo si riflette sulla valutazione che il mercato dà su questi titoli di studio a breve termine, i quali garantiscono un piccolissimo incremento salariale rispetto ad un titolo della scuola secondaria. Tuttavia le prospettive di impiego di lavoro rimangono sicuramente limitate.
Io credo si debba fare qualcosa rispetto al ruolo dei trienni nel mercato del lavoro. Ad esempio, la proposta di specializzare alcuni atenei nei trienni altamente professionalizzanti, in modo da renderli più presenti sul territorio, va certamente in questa direzione. Bisognerebbe trasformare i trienni in veri e propri corsi di apprendistato universitario, svolti in parte nelle sedi universitarie e in parte nelle imprese del territorio, con un controllo reciproco sulla qualità della formazione svolta dall’una e dall’altra parte. Così facendo potremmo offrire agli studenti che non vogliono investire tanto tempo nella formazione universitaria la possibilità di poter acquisire delle conoscenze importanti e di poter entrare nel mercato del lavoro avendo in mano un investimento che è stato valorizzato.
- Un consiglio per gli studenti che vogliono spendere bene il loro futuro?
- Inevitabilmente gli investimenti in formazione e in istruzione sono oggi decisivi. Se noi guardiamo al futuro del lavoro in Italia noi vediamo servizi che richiedono alto capitale umano. Nella sanità, ad esempio, per via dell’invecchiamento della popolazione, e nei servizi alle imprese. Ci sarà anche uno sviluppo dei posti di lavoro nei servizi alle persone che richiederanno lavoro meno qualificato, ma lì la competizione con gli immigrati sarà molto forte. Quindi un giovane che vuole costruire il proprio futuro deve pensare a investire soprattutto in capitale umano e in professionalità che siano legati a questi settori, in cui le competenze richieste sono più di natura scientifica che umanistica. In Italia invece si investe ancora molto su formazioni umanistiche e questo può essere un problema.
A microfoni spenti mi ringrazia e mi augura un buon lavoro. Ricambio, lo saluto ed entro nella Chiesa di San Francesco. Il dibattito sull’ingiustizia distributiva sta per iniziare.
11 maggio 2012 presso 17:17
Bel colpo
15 maggio 2012 presso 00:07
Si, davvero una bella intervista!