Se siete abituati ad associare la faccia di Pierfrancesco Favino a quella del “duro e senza paura” di Romanzo Criminale, allora Servo per Due vi farà cambiare idea sin dalle prime battute.
Invece, se avete sempre saputo che Favino è dotato di una vena comica notevole, con questo spettacolo potrete apprezzarne ogni sfumatura. Con il debutto di mercoledì 20 novembre, Servo per Due ha regalato momenti di epico divertimento, in grado di riportare il pubblico a contatto con il teatro, in tutti i sensi…
Servo per Due è l’adattamento italiano, curato da Favino stesso, di One Man, Two Guvnors del commediografo inglese Richard Bean, che ha ottenuto un successo esorbitante nel West End e a Broadway. Le origini di Sevo per Due, però, sono molto meno distanti da noi. L’opera di Bean, infatti, altro non è che la trasposizione in chiave moderna della commedia di Carlo Goldoni Il servitore di due padroni, del 1745.
Battute astute, ritmi veloci e, passatemi il nobile riferimento, totale abbattimento della ben nota quarta parete. Lo spettatore si ritrova totalmente coinvolto nella storia dell’Arlecchino di turno, in questo caso impersonato da Pippo (Pierfrancesco Favino), rozzo protagonista con un unico pensiero: il cibo.
Pippo, per guadagnare la cifra necessaria in grado di assicurargli una buona quantità quotidiana di cibo, finisce con il far da servo per, indovinate un po’, due padroni, ma non volendo essere scoperto nei suoi loschi traffici con fini alimentari, si inventa storie incredibili, che non fanno altro che causare ulteriori guazzabugli in una storia già parecchio ingarbugliata.
Gli attori del gruppo Danny Rose, per preparasi al meglio, hanno passato un periodo intenso di lavorazione,
in cui si sono confrontati con lezioni di canto e ballo, di clowneria e persino di acrobatica. Il risultato è stato sicuramente degno della fatica. Un plauso nello specifico va all’attore Ugo Dighero, particolarmente esilarante nel ruolo di Alfredo, cameriere in età avanzata, completo di ogni acciacco possibile.
Servo per Due è ricco di colpi di scena anacronistici che aumentano solo il divertimento che l’opera goldoniana naturalmente attira, e gli inframezzi musicali curati da un eccellente quartetto che richiama la moda degli anni ’40/’50 completano l’opera nel suo ritmo incalzante.
Il finale è dunque uno solo e prevedibile, uno scroscio di applausi per una commedia che va presa alla
leggera e senza il bisogno di fare troppi dotti paragoni con quella originaria.
Un’ultima nota, se avrete la fortuna di essere seduti tra le prime file della platea, potreste assaporare appieno quella frantumazione della quarta parete di cui sopra.
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