Forse non tutti lo sanno, ma il problema di cui si parla sui giornali da qualche giorno a questa parte nasce vent’anni fa, se non addirittura prima. Stiamo parlando delle preferenze, quel meccanismo che permette al cittadino di scegliere precisamente il proprio candidato, preferendolo quindi ad altri. Un sistema che possiede sicuramente un alto valore democratico, ma che con la corruzione e il voto di scambio tipico di noi italiani decretò la fine della Prima Repubblica nei primi anni Novanta.
Un po’ di storia. Nel 1991, infatti, ci fu un referendum al quale partecipò il 62,5% degli italiani per decidere se eliminare il meccanismo della preferenza plurima alla Camera dei Deputati, sostituendolo con quello della preferenza unica: anziché scegliere più candidati se ne sarebbe scelto solo uno all’interno della lista elettorale votata. A questo quesito risposero affermativamente il 95,1% dei votanti. Tuttavia si votò con questo nuovo procedimento una volta sola, nel 1992, perché l’anno successivo fu varata una nuova legge elettorale, il cosiddetto Mattarellum, che annullava completamente le preferenze.
Le motivazioni di questa scelta furono molteplici, ma due spiccano sulle altre: gli altissimi costi dovuti a campagne elettorali ultra personali e organizzate coi soldi dei contribuenti; e la tendenza a comprare i voti con favori, regali e mazzette, cioè un meccanismo nascosto che diventò piano piano sistema a tutti gli effetti, esplodendo il 17 febbraio 1992 quando iniziò la vicenda nota a tutti con il nome di Tangentopoli. Esattamente come ribadisce Jacopo Iacoboni sulla Stampa di ieri.
Le contraddizioni. A quelle decisioni, politici che ora si dichiarano favorevoli alla reintroduzione delle preferenze, votarono invece compatti assieme alla maggioranza dei cittadini italiani per abolirle. Tra gli altri, esponenti del Pd (allora Pds) che ora si dichiarano contrari alle proposte del neo segretario Matteo Renzi, fino a poco tempo fa si opponevano anch’essi a tale meccanismo. L’esempio più incalzante è quello di Anna Finocchiaro, che l’8 luglio 2012 dichiarava la sua posizione ai cronisti dell’Unità, esattamente qui: “No alle preferenze”.
Arriviamo al punto. Da una parte si può pensare che la decisione di Renzi di eliminare le preferenze, nel cosiddetto Italicum, sia un modo per creare business per il proprio partito: si organizzano le primarie, si accontentano i propri elettori e nel frattempo si incassano due euro per ogni voto. Tuttavia, dobbiamo pensare che in questi ultimi vent’anni la corruzione non è di certo diminuita. Nella classifica di Transparency International l’Italia figura al 69esimo posto su un totale di 117 paesi, mentre secondo Donatella Della Porta, importante studiosa di Tangentopoli e delle sue conseguenze, i meccanismi di corruzione si sono solo modificati nel tempo, ma rimangono tuttora un problema sistemico (Della Porta, Mani Impunite, Laterza).
La questione è quindi di estrema importanza e deve farci riflettere molto. La corruzione non riguarda solo i politici, la corruzione riguarda ciascuno di noi. “Ogni popolo ha il governo che si merita” diceva Aristotele. La domanda allora è questa: cambiamo le leggi o cambiamo gli italiani?
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