Mariano Rigillo ritorna sul palcoscenico del Politeama Rossetti, da mercoledì 5 marzo alle 20.30, protagonista – nell’ambito della stagione di Prosa dello Stabile regionale – di Erano tutti miei figli, capolavoro di Arthur Miller scritto nel 1947 ma attualissimo per la sua portata di denuncia verso le ragioni estreme del capitalismo e la angosciante crisi dell’etica.
In Erano tutti miei figli il teatro civile e la civiltà del teatro parlano all’uomo senza retorica: il testo possiede la prodigiosa struttura dei capolavori in cui allegoria e concretezza convivono. Il dramma privato infatti, si fa qui paradigma dei traumi e delle contraddizioni che, ieri come oggi, travagliano la società postindustriale. «La corrispondenza biunivoca tra microcosmo e macrocosmo innerva anche la nostra rappresentazione» spiega il regista Giuseppe Dipasquale. «Una casa altoborghese della provincia americana è specchio universale del marcio che, sotto ogni latitudine, antepone il denaro all’etica. L’impianto scenico trasporta lo spettatore in un contesto tanto spazioso quanto asfittico. L’estiva ambientazione in esterni, prevista dalla sceneggiatura originale, diventa piuttosto una serra-rifugio, trasparente isolamento di anime tra i suoi fragili vetri, su cui si addensano i tossici vapori di verità malcelate, ansie manifeste, colpe troppo a lungo sottaciute».
Joe Keller è un milionario senza scrupoli, che vuole far credere, persino a se stesso, di avere agito sempre per il bene della sua famiglia. Spietata è invece la logica su cui si fonda la ricchezza che ha accumulato, frutto di ciniche equazioni tra guadagno e disonestà, tradimento e menzogna, frode e illegalità.
Una per tutte, emblematicamente, Miller inquadra la lobby delle armi. Quella stessa che, lo vediamo, continua a mietere vittime, non solo in quanto postula belligeranza, ma per la diffusa spregiudicatezza troppo spesso impiegata nel celare difetti di produzione, più insidiosi del fuoco nemico. Più in generale, in un’ottica industriale deteriore, è questo un delitto ciclico che si perpetua con diabolica impunità in tutti i settori merceologici. Difficile da individuare, quantificare, punire. A temerlo meno è proprio chi lo compie, preoccupato solo di farla franca e restare sul mercato: statisticamente ed egoisticamente sarà sempre l’altro a subire il danno.
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