Il 10 dicembre 1948 veniva adottata dall’Assemblea delle Nazioni Unite la Dichiarazione universale dei diritti umani. I 30 articoli che sanciscono i diritti individuali, civili, politici, economici, sociali, culturali di ogni persona sono stati celebrati dal SISM (Segretariato Italiano Studenti di Medicina) nella giornata internazionale dei diritti umani con una conferenza dedicata al Medio Oriente. Dalla primavera araba all’Isis, dai nuovi scontri tra Israele e Palestina all’emergenza dei profughi Siriani, quest’area del mondo è drammaticamente di attualità.
Donatella Salvi, Presidente dell’Unicef di Trieste, ha ricordato come nei conflitti i diritti dei bambini vengano spesso all’ultimo posto. Era vero l’11 dicembre di cinquantotto anni fa, alla nascita del fondo d’emergenza per i bambini europei nel dopo guerra, ed è vero ora. 15 milioni di minori sono oggi coinvolti in grandi conflitti. Marzio Babille, medico triestino rappresentante dell’Unicef in Iraq, tira così le somme: «Il 2014 è stato un anno devastante per i diritti dei più piccoli. Sono stati uccisi mentre erano nelle loro classi a studiare, mentre dormivano nei loro letti. Sono rimasti orfani, sono stati rapiti, torturati, reclutati, violentati e venduti come schiavi. Mai nella storia recente così tanti bambini sono stati soggetti a brutalità così orribili. Le violenze e i traumi non danneggiano solo i bambini, minano la forza della società.»
Solo in Siria, sono più di 12 milioni le persone bisognose di aiuti umanitari secondo l’ONU. Molti si trovano in campi profughi di stati confinanti, altri sono “profughi interni” e vivono cercando di attraversare il confine. Giacomo Cuscunà è stato per due anni in campi profughi di Turchia e Siria come giornalista e volontario e definisce la situazione inimmaginabile, difficile da descrivere: «Storie così – dice in riferimento ad adolescenti pronti a combattere mostrati in un documentario della BBC – si sentono tutti i giorni, ad un ritmo che rende almeno il primo periodo di permanenza in questi luoghi molto difficile». Storie che sembrano lontane, ma in realtà sono queste persone che con estreme difficoltà attraversano il Mediterraneo verso le sponde italiane, in cerca di diritti e sicurezza. «Ci dimentichiamo di quello che hanno vissuto e di quello che cercano. Niente di particolare, se non il minimo di diritti di cui sono stati privati nel loro Paese.»
Paola Mossenta ha presentato il centro di maternità di Anabah, in Afghanistan, sostenuto dal gruppo Emergency triestino, unica struttura di riferimento per 250.000 persone nella Valle del Panshir, una regione di montagna densamente minata. La mortalità di bambini inferiori ai 5 anni e di donne in gravidanza era altissima. Molte partorivano in casa, senza assistenza, per le difficoltà a viaggiare e il divieto di essere visitate da uomini. Il personale è quindi per la maggior parte femminile: volontarie internazionali, ma anche ostetriche e infermiere locali formate dallo stesso centro. La situazione è ora migliorata, anche grazie ai corsi offerti alle pazienti, che hanno introdotto migliori norme igieniche e la pratica dell’allattamento al seno.
A chiudere l’incontro Arianna Pisetti, attivista del Coordinamento Medio Oriente Nord Africa di Amnesty International Italia, ha voluto mostrare i volti delle vittime. Volti come quelli di ragazzi e uomini iracheni, che ormai possiamo vedere solo sulle fotografie che le loro famiglie usano per rintracciarli, in quanto vittime di sparizioni sistematiche. I loro casi arrivano ad Amnesty ad un ritmo tale da rendere difficile la diffusione tempestiva di tutte le segnalazioni. Seguito dall’associazione anche il caso di Abdul Razeq Farraj, direttore di un’associazione non governativa palestinese per la difesa dei diritti degli agricoltori. Dal 1985 è stato arrestato per ben sei volte dal governo israeliano ed è attualmente in detenzione amministrativa, cioè senza accuse a suo carico e senza possibilità di processo. In Siria preoccupano le sparizioni di avvocati difensori dei diritti umani come Razan Zaitouneh e i suoi colleghi o Khalil Mattouq. In queste circostanze, le persone che scelgono di esprimere la loro opinione tramite manifestazioni, scioperi, organizzazioni, blog o in altri modi rischiano di pagare un carissimo prezzo per il loro coraggio.
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