Le 10 cose che solo uno studente della Scuola Interpreti può capire

Una delle facoltà più conosciute dell’Università di Trieste è sicuramente la Scuola per Interpreti e Traduttori. Bandiera italiana e internazionale di una delle professioni più invidiate al mondo, nasconde in realtà aspetti che solo chi la frequenta in prima persona può capire. Ecco quindi un compendio per far conoscere a tutti, ma proprio tutti, le caratteristiche di questa amata e odiata facoltà.

1. I triestini

Via Filzi 14. Entri. Siciliani, veneti, piemontesi. E i triestini? Un cartello del WWF ti dà la risposta. Sopra, un panda abbraccia un’alabarda, sotto, una scritta: Save the locals.

2. La fauna

Passano gli anni, cambiano i professori, arrestano gli impiegati, ma a popolare i corridoi (quasi ospedalieri) della facoltà c’è sempre il solito imprescindibile miscuglio di:

studentesse: 70%
studenti gay: 20%
studenti etero: 10%
casi umani: 86%.

3. Il terrorismo psicologico

È noto ai più di come il personale (in)docente della Scuola Interpreti incentivi i propri studenti con un sottile e delicato terrorismo psicologico, che se volessimo descrivere con una metafora è un po’ come l’etichetta delle mutande, fastidiosa e perpetua. Queste operazioni prevedono frasi del tipo: «mi spiace per voi, ma tempo vent’anni e i computer tradurranno tutto perfettamente!». Alcuni invece incentivano l’apprendimento di più idiomi, con esortazioni come: «al giorno d’oggi se non sapete almeno l’uzbeko potete aspirare al massimo a fare gli sguatteri.»

4. Il sano cameratismo

In via Filzi, si sa, non c’è alcuna competizione, non c’è rivalità (soprattutto nel corso di Interpretazione), e c’è un grande senso di squadra, soprattutto in prossimità degli esami più difficili. Non sarà difficile quindi imbattersi nei corridoi in dialoghi di questo tipo:

«Mi daresti gli appunti dell’altra volta per favore? Mia madre è morta giusto ieri…»
«Problemi tuoi. Fancazzista schifoso.»

5. I cultori della perfezione assoluta

Per molti studenti, soprattutto ai primi anni della triennale, l’ambizione e la sicurezza di sé sono così forti che se non prendono 30 all’esame di Interpretazione di Trattativa italiano-ungrofinnico, non sono contenti. Poi gli anni passano:

«Oh, 28 all’esame, eh! Ma ho rifiutato, meno di 30 non accetto.»
«Ok, ma sei al sesto anno fuori corso, quanto andrà avanti ‘sta manfrina?»

6. L’Erasmus

Una facoltà che ha le lingue e il rapporto con le altre culture come mission, dovrebbe incentivare a più non posso i propri studenti ad andare all’estero. E anche alla SSLMIT i professori spingono gli studenti ad andare in Erasmus. Anzi a non tornarci proprio. Tanto si perderebbero troppe ore di lezione, rimarrebbero indietro con il programma, non potrebbero dare i pre appelli e non li verrebbero riconosciuti gli esami fatti fuori. Avanguardia pura.

7. L’amore fraterno per i bilingue

Sono gli americani con mamma tedesca e papà francese, ma cresciuti in Italia, i nemici giurati di ogni studente della Scuola interpreti, che si chiede amabilmente «ma che cazzo ci sei venuto a fare qui?». Passano gli esami con il massimo dei voti e «ci rubano il lavoro», ma sono comunque adorati da tutti e trattati come una specie protetta. Tanto da volerli vedere chiusi in gabbia.

8. Le presentazioni

Chi entra nella Scuola Interpreti subisce una sorta di impercettibile lobotomia, conseguentemente alla quale non vedrà altro Dio all’infuori della propria facoltà e anche nella vita di tutti i giorni, a contatto con gli umani penserà e agirà solo in relazione a quello:

«Scusam…»
«Ciao, sì tranquillo, tanto ci chiediamo sempre le stesse cose! Mi chiamo Gianna, vengo da Roma e studio inglese, russo e spagnolo.»
«Sì ma…»
«Sì, è vero, iniziarlo da principiante è quasi impossibile, ma io mi sento pronta, so che posso farcela.»
«Ok. Però…»
«Ma non ti ho mai visto da queste parti, fai la specialistica per caso? Cosa mi consigli di scegliere dopo?»
«Scolta cocola, me ciamo Toio e fazo el vetraio. Te tasi tre minuti e te me disi dove che xe l’ascensor, per favor?»

9. La funzionalità impeccabile

Facoltà all’avanguardia e dotata di ogni accorgimento tecnologico avanzato che permette di essere letteralmente catapultati nel mondo del lavoro. No, non parliamo ovviamente di quella di Trieste. Lì è già tanto che i tre computer rimasti riescano a farsi compagnia da soli e che nelle cuffie delle cabine di interpretazione non si senta il mare. Oddio, qualche onda a volte si percepisce. Poi se qualcosa non funziona c’è un tecnico pronto a venirti in aiuto. Sempre che non lo arrestino.

10. Il rapporto con gli altri studenti

Nessuno del variegato mondo universitario triestino sa veramente cosa si studia alla Scuola per Interpreti. Molti pensano che per interpretare si intenda addirittura recitare e chiedono se per caso fai l’attore. Ecco non proprio. In ogni caso a uno studente della SSLMIT puoi chiedere tutto ma non imbatterti mai in un dialogo di questo tipo:

«Che cosa studi?»
«Interpreti e traduttori!»
«Ah, quindi fai lingue!»

C’è chi potrebbe uccidere.

 

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