Quando l’Italia rese omaggio al Milite Ignoto

Il 28 ottobre 1921, in una Basilica d’Aquileia gremita di folla, Maria Bergamas, madre di un volontario triestino disperso durante la Grande Guerra, sceglieva, tra undici salme dall’identità ignota, quella che a Roma avrebbe rappresentato e ricordato tutti i soldati rimasti senza nome.

Fu questo il momento culminante, e toccante, delle solenni onoranze tributate ai Caduti italiani della Prima Guerra Mondiale. Onoranze che avevano avuto inizio con la ricerca, ad opera di un’ apposita commissione, delle salme senza identificazione, undici, perché undici erano stati i principali campi su cui si era combattuto: San Michele, Gorizia, Monfalcone, Cadore, Alto Isonzo, Asiago, Tonale, Monte Grappa, Montello, Pasubio e Caposile. Onoranze che avrebbero avuto termine il 4 novembre a Roma, con la sepoltura nel Vittoriano del Milite Ignoto prescelto. Da allora il grandioso monumento dedicato al re Vittorio Emanuele II sarebbe diventato l’Altare della Patria, ancor di più simbolo dell’unità nazionale.

La Prima Guerra Mondiale aveva comportato il sacrificio tremendo delle popolazioni europee, con la morte di oltre nove milioni di soldati e di circa sette milioni di civili a causa della carestia e le malattie seguite al conflitto. A ciò vanno aggiunte le pesanti conseguenze economiche della guerra: i bilanci statali erano cresciuti in maniera smisurata, l’inflazione ed il costo della vita erano aumentati vertiginosamente, la crisi industriale era profonda. Paradossalmente, il disagio sociale era maggiore nelle nazioni vincitrici piuttosto che in quelle vinte, dove la grave situazione poteva essere giustificata dalla sconfitta subita.

Anche in Italia, nazione vincitrice, i costi in termini di vite umane erano stati drammatici: oltre 650.000 morti e 984.000 feriti, senza contare le centinaia di migliaia di civili colpiti dall’influenza detta “spagnola”. Non c’era lavoro e le terre promesse ai soldati (allo scopo di risollevarne il morale) non erano state distribuite; la liquidazione corrisposta con la smobilitazione era stata presto bruciata dal forte aumento del costo della vita. I reduci si sentivano traditi ed abbandonati da uno Stato a cui tanto avevano dato e che non manteneva le promesse fatte.

In seguito alla Conferenza di Pace di Parigi si era aggiunta al forte malcontento la convinzione, diffusa soprattutto ad opera dei nazionalisti, che i francesi e gli inglesi avessero volutamente ingannato l’Italia per convincerla ad entrare in guerra al loro fianco, senza aver alcuna intenzione di rispettare i patti. Ciò spiega la scelta dell’Italia di smarcarsi dagli altri Paesi Alleati, che avevano deciso di festeggiare la vittoria un anno dopo la fine della guerra, adottando l’11 novembre come data della ricorrenza. Se in Francia, Inghilterra e Belgio nel 1919 vi furono grandi celebrazioni, con tanto di fuochi artificiali, in quell’anno in Italia non si festeggiò la conclusione del conflitto, né furono tributate onoranze di rilievo ai Caduti. Il lutto rimase inizialmente confinato nel privato delle famiglie e dei reduci. Il desiderio prevalente era quello di riportare i resti dei propri cari nel paese natio; ma ben presto divenne evidente che ad un altissimo numero di Caduti non era possibile dare un nome. I parenti ed i commilitoni erano così privati del conforto che avrebbero potuto ricevere dalla visita alla tomba dei propri defunti, o per lo meno dalla conoscenza del luogo dove questi erano stati sepolti.

Incominciò così sempre più a diffondersi l’idea, sostenuta dal colonnello Giulio Douhet, di tributare solenni onoranze ad un soldato senza nome, in ricordo di tutti coloro che non avevano più fatto ritorno alle loro case. Anche in Inghilterra, in Francia ed in altre nazioni, durante i cerimoniali di stampo ottocentesco per celebrare la vittoria e la fine della guerra, era stato introdotto per la prima volta un momento di omaggio ai soldati caduti; ed ai rispettivi Militi Ignoti era stata data sepoltura in luoghi dal forte valore simbolico, come l’Arco di Trionfo a Parigi e l’Abbazia di Westminster a Londra. Ma fu in Italia che prese piede la rivoluzionaria idea che fosse stato un semplice soldato, e non il “condottiero”, il vero artefice della vittoria. Glorificando un soldato senza nome si sarebbe reso onore non soltanto al sacrificio di chi non era più tornato, non soltanto ai combattenti, ma all’intera cittadinanza. E si sarebbe data la pace a chi non aveva un luogo su cui piangere la scomparsa dei propri famigliari ed amici: il Milite Ignoto avrebbe rappresentato tutti loro.

Bisognò però aspettare fino al 1921 perché venisse presentata in Parlamento la proposta di legge con cui si istituiva la cerimonia; il provvedimento venne finalmente promulgato l’11 agosto di quell’anno. Il testo legislativo affidava al ministro della Guerra la definizione delle modalità esecutive per l’organizzazione delle onoranze da tributare alla salma del soldato senza nome. Allora titolare della carica era il deputato Luigi Gasparotto, friulano originario di Sacile e che, essendo stato combattente nonostante i suoi quarantadue anni, era particolarmente sensibile al problema dei Caduti. Costituito l’Ufficio Onoranze Soldato Ignoto, questi emanò subito le prime disposizioni, che prevedevano l’istituzione di un’apposita commissione, presieduta dal tenente generale Giuseppe Paolini, che si era distinto durante la guerra ed era stato insignito della Medaglia d’Oro al Valor Militare.

Venne studiato un apposito cerimoniale, che si sarebbe svolto in diverse fasi distinte: in primo luogo sarebbe avvenuta l’esumazione delle undici salme, certamente non identificabili, la cui ricerca si sarebbe svolta nei luoghi più avanzati dei principali campi di battaglia; in seguito, una volta sistemate in casse di uguali dimensioni, le salme sarebbero state traslate nella Basilica d’Aquileia, dove sarebbe avvenuta la designazione del soldato ignoto da trasportare a Roma. Le altre dieci salme sarebbero state tumulate nel Cimitero degli Eroi, a ridosso della Basilica. Il viaggio si sarebbe svolto a bordo di un treno speciale, che sostando in tutte le stazioni, avrebbe dato ai cittadini la possibilità di rendere omaggio al caduto e depositare su appositi carri le corone di fiori. Vietati i discorsi durante le soste; le bande musicali, se presenti, si sarebbero limitate a suonare “La leggenda del Piave” al momento della partenza del convoglio. Come luogo per la tumulazione a Roma venne scelto il Vittoriano, dove già durante la guerra le donne romane che avevano perso in guerra un figlio o il marito si recavano, portando fiori in memoria del famigliare caduto; posta al centro del Monumento, al di sotto della statua della Dea Roma, la tomba del Milite Ignoto si sarebbe così trovata in primo piano, visibile ed accessibile a tutti.

Fu infine decisa la modalità con cui sarebbe stata designata la salma da trasportare a Roma: la scelta sarebbe stata affidata alla mamma di un soldato disperso in guerra. In questo modo, si voleva dare un simbolico riconoscimento a tutte le madri, unico punto di riferimento e di affetto dei soldati immersi nel fango, nel rumore, nella violenza senza fine e senza senso della guerra; in particolare a quelle i cui figli non avevano mai fatto ritorno. In un primo tempo, la commissione pensò di affidare il compito all’udinese Anna Visentini, Presidente della Friulana Associazione tra le Madri e le Vedove dei Caduti; i suoi due figli, Manlio e Geppino, erano morti eroicamente, il primo meritando la Medaglia d’Oro al Valor Militare, mentre il secondo risultava disperso. Tuttavia in seguito si decise che se con le onoranze al Milite Ignoto si desiderava ricordare e rendere omaggio all’ultimo dei soldati, la designazione di quest’ultimo sarebbe dovuta toccare alla più semplice e modesta delle madri. Il compito era arduo, ma alla fine la scelta cadde su una donna triestina di modeste condizioni, Maria Bergamas. Il suo unico figlio, Antonio, si era unito a

d un gruppo triestino di irredentisti, che allo scoppio della guerra, aveva varcato clandestinamente il confine per arruolarsi come volontario nell’esercito italiano. Caduto in guerra, era entrato a far parte delle fila dei numerosi soldati di cui non si sapeva l’ubicazione delle spoglie. Si voleva così celebrare anche la scelta di quei giovani di identità italiana che, pur vivendo nell’Impero austro ungarico, avevano deciso di disertare e di arruolarsi volontari nell’Esercito Italiano, per quella che era vista come l’ultima guerra d’indipendenza, necessaria per giungere alla piena unificazione dell’Italia.

Il giorno della scelta del Milite Ignoto, la Basilica d’Aquileia era piena di gente commossa. Già la ricerca e l’esumazione delle salme dai vari campi di battaglia era avvenuta con una sentita partecipazione locale. Le onorificenze tributate ai soldati, vittime di un evento disumano più grande di loro, furono forse uno dei pochi momenti veramente unificanti della storia italiana; per un attimo, furono messe da parte le più aspre contese politiche e le forti differenze sociali. Tutti si inginocchiarono al passaggio del treno, che lentamente attraversò l’Italia portando quelle povere spoglie verso la loro ultima dimora a Roma.

di Francesco Di Martino

  • Facebook
  • Disqus
  • Google Plus
Share This