L’Unione Europea prende posizione contro Israelee la sua politica di colonizzazione, avviata dopo la
guerra dei sei giorni nel 1967. L’Europa ha deciso che tutti gli accordi di cooperazione e di sviluppo stipulati con lo Stato israeliano dal 19 luglio saranno condizionati ad una clausola che impedirà il negoziato di tali accordi in Cisgiordania, Gerusalemme Est, le alture del Golan e la Striscia di Gaza. Ovvero i territori occupati da Israele dove il movimento sionista sta conducendo una politica discriminatoria e repressiva nei confronti della popolaziona araba che riside in quelle zone. Il divieto di negoziato non riguarderà il settore privato ma entità come centri di ricerca o le organizzazioni non governative. Ad esempio verranno colpiti i centri impegnati in progetti ambientali. Vietati inoltre premi, borse di studio e finanziamenti relativi a progetti di partnership di ricerca, come ad esempio il programma Horizon 2020. Ma non finisce qui. Israele se vorrà sottoscrivere nuovi accordi con l’UE dovrà accettare la formula esplicita in cui viene precisato che le colonie, cioè gli enti territoriali israeliani fuori dal confine del 1967, non fanno parte dello Stato di Israele. Tale clausola resterà valida fino al 2020.
Sul piano economico questa decisione avrà ripercussioni nel settore delle esportazioni e non di meno in quello delle importazioni, che secondo il giornale tedesco Der Spiegel ammontano a 287milioni di dollari l’anno. Politicamente, invece, avrà un’importante valenza sia nei rapporti UE-Israele sia nei negoziati di pace israelo-palestinesi. Di fatto l’Europa delegittima l’occupazione della Cisgiordania, della Striscia di Gaza, di Gerusalemme Est e delle alture del Golan. L’UE da sempre ha l’ambizione di giocare un ruolo da protagonista nella politica mondiale ed è questa, forse, la chiave di lettura della sua decisione. Dunque l’Europa interviene a gamba tesa nel negoziato di pace avviato trilateralmente da Stati Uniti, Israele e autorità palestinesi. Decide di isolare internazionalmente Israele per non sentirsi essa stessa messa da parte in un così importante negoziato.
Il premier israeliano Benjamin Netanyahu ha reagito duramente, affermando che il suo Paese “non accetterà editti dall’estero”. Mentre il vice ministro degli Esteri, Zeev Elkin, ha definito la decisione dell’UE “una mossa molto significativa e preoccupante che di certo non migliorerà l’atmosfera per i colloqui di pace”. Negli ultimi giorni è stato lo stesso Israele che ha adottato delle iniziative che non hanno contribuito a distendere gli animi nella regione, attirando le critiche della comunità internazionale. Il ministro della Pianificazione Abitativa, Uri Ariel, ha annunciato la costruzione di 10mila unità abitative per coloni a Gerusalemme Est e in Cisgiordania. Inoltre pochi giorni fa è stato avviato il Piano Prawer che prevede la confisca di territori arabi nel Negev, il trasferimento coatto di 40mila beduini del deserto e la demolizione di 36 villaggi. Azioni che sono una minaccia per i diritti fondamentali della popolazione araba che vive nei territori occupati.
La decisione dell’UE non è un’azione isolata. Qualche settimana fa la multinazionale Mc Donald’s si è rifiutata di aprire un ristorante nel nuovo centro commerciale nell’insediamento israeliano di Ariel, in Cisgiordania. Secondo il giornalista palestinese Rami Khauri queste azioni colpiscono la legittimità israeliana sulle colonie e sono importanti pressioni politiche che isolano nel consesso internazionale Israele e possono essere uno stimolo per convincere le autorità israeliane a terminare l’occupazione di questi territori. Sicuramente i negoziati di pace continueranno, nonostante le minacce di Netanjahu e del suo ministro Elkin, ma difficilmente si vedrà una soluzione se Israele non abbandonerà le colonie e se le autorità palestinesi non riconosceranno come legittimi i confini del 1967. La legittimazione e il riconoscimento reciproco quali Stati indipendenti dotati di sovranità sarà il primo passo necessario per la pace nella regione.
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