Alla fine sono arrivati anche i risultati elettorali di Trieste. Mentre la notte di domenica – a forza di maratone televisive - ci consegnava già qualche importante segnale politico, la città giuliana dormiva ancora sonni tranquilli. Al risveglio, invece, sono iniziate le sorprese.
Non senza qualche clamore, a uscire vittorioso da questo primo turno è stato Roberto Dipiazza, già sindaco della città dal 2001 al 2011 e oggi sostenuto da un ampio schieramento di centro-destra. La sera prima erano trapelati alcuni exit-poll che lo davano in vantaggio, ma nessuno poteva legittimamente aspettarsi un risultato così rotondo: incide una campagna elettorale giocata volutamente su settori specifici della società – aveva colpito per esempio il forfeit al dibattito in Università - apparentemente sottotono, molto “triestina” per modi e parole, ma alla fine anche molto redditizia. Si assesta al 41% circa, percentuale che non gli consegna le chiavi della città in mano – si dovrà passare per il secondo turno di ballottaggio del 19 giugno – ma che indica chiaramente Dipiazza come il candidato con il vento in poppa.
A seguirlo, staccato di oltre dieci punti, è Roberto Cosolini, sindaco uscente che mette assieme, con la sua coalizione di centro-sinistra, il 29% dei votanti. Non proprio una tornata elettorale confortante per l’attuale inquilino di Piazza Unità, che ha parlato apertamente di un “risultato sotto le aspettative”. A pesare – probabilmente – sono state alcune della grandi questioni aperte in città, su tutte la Ferriera di Servola, ma anche un malcontento diffuso, covato all’ombra delle periferie. Dalla domenica elettorale Cosolini esce insomma claudicante, con un giudizio “pesante” sugli ultimi anni di amministrazione – anche se non si può escludere l’irruzione di fattori esterni, come la volontà di lanciare un segnale politico più ampio - ma ancora in corsa al ballottaggio.
Dietro Cosolini e Dipiazza, che si sfideranno al ballottaggio fra due settimane, si posiziona Paolo Menis, candidato del Movimento 5 Stelle che sfiora il 20% e si accredita come secondo partito in città, non in grado però di avvicinarsi alle coalizioni di centro-sinistra e centro-destra. Considerato che alcuni analisti indicavano i Cinque Stelle tra i favoriti per accedere al ballottaggio, si tratta di un risultato certamente sottotono, ammesso dallo stesso Menis.
Ridimensionati escono anche gli altri candidati e le liste collegate – indipendentisti, civiche, sinistre, la destra di Rosolen - che si sbriciolano in percentuali praticamente ininfluenti.
Ma a farla da padrona è stata ancora una volta l’astensione: l’affluenza a Trieste segna il 53,5%, cifra preoccupante ben al di sotto della media nazionale, comunque in calo, del 62%, che “regge” trainata dai piccoli comuni anche se i grandi capoluoghi arrancano.
E i giovani?
Per ora, non disponiamo di dati certi sulla partecipazione giovanile. Visti i risultati è però logico pensare ad un’astensione piuttosto estesa. D’altronde la composizione demografica di Trieste non aiuta a rendere i giovani un asse centrale delle politiche cittadine, estromettendoli di conseguenza dal dibattito elettorale. “Trovo che a Trieste manchi una politica giovanile adeguata”, ci dice Alessia, che svolge un master all’Università di Trieste. “Siamo una città vecchia e non ci sono state proposte allettanti per i giovani”, continua, “anche se chi non è andato a votare, perde il diritto a lamentarsi: il silenzio non porta cambiamento”. Martina, ventenne impegnata nel Servizio Civile, conferma il giudizio sul poco coinvolgimento dei giovani: “non sono stati presi in grande considerazione e probabilmente in molti hanno preferito non andare a votare”.
“E’ mancato il coraggio di dare una vera risposta ai bisogni dei giovani - incalza Sabrina, universitaria - e la campagna elettorale che ne è uscita ha avuto contenuti molti poveri”. Giudizi netti e condivisi da molti, segni di una politica che non appassiona, non tanto per disinteresse, ma per una distanza sempre più marcata tra generazioni. Anche in quei luoghi dove ci si aspetterebbe una maggiore partecipazione attiva. E’ Enrico a metterlo in luce: “il dibattito tra i candidati sindaco in Università era stato concepito per avvicinare i giovani alle urne, ma nessuno è stato in grado di instaurare un vero dialogo con la nostra generazione”.