E’ andata come era stato ampiamente previsto, dopo i risultati – questi sì sorprendentemente – piuttosto netti del primo turno. Il ballottaggio alla fine consegna le chiavi della città a Roberto Dipiazza, già sindaco di Trieste per dieci anni prima di Roberto Cosolini, che non riesce a rovesciare il risultato che era andato delineandosi il 5 giugno. Le ultime due settimane di campagna elettorale, tra gaffe, parole grosse e tentativi di rimonta, ribadiscono quindi il primo verdetto, seppur con una forbice più stretta. Cosolini recupera infatti qualche punto, racimola consensi nel confronto diretto e personale con il rivale, ma non riesce in quella che – nonostante fosse il sindaco in carica – era sembrata dopo la prima domenica elettorale un’impresa troppo grande. Finisce in percentuali 52 a 47, dopo un primo turno chiuso 41 a 29 per Dipiazza.

L’ormai ex consigliere regionale si dimostra ancora una volta un candidato forte, capace di riunire il centrodestra e di far sua l’ennesima campagna elettorale per lo scranno comunale – prima c’erano state Muggia e ancora Trieste. Faccia simpatica (così si dice) e battuta pronta, riesce a entrare in perfetta risonanza con i triestini e a capirne gli umori striscianti. Campagna fatta di parole semplici: parcheggi, sicurezza, pulizia. E soprattutto lo slogan, ripetuto all’infinito, “lavoro, lavoro, lavoro”. A Trieste altro non serve. Dipiazza, poi, è un politico navigato dalla retorica apparentemente sbrigativa, ma efficace. Ma ciò che di nuovo stupisce dell’esito elettorale è un altro aspetto. Perché alla fine ciò che segna il risultato – un po’ come in altre parti d’Italia – è una congiuntura che premia i candidati alternativi al partito di governo, che vede gli uscenti in grande difficoltà e che segna il capovolgimento nelle preferenze dei ceti più poveri. Le periferie, anche a Trieste, decidono la partita. Questo è il dato, che se ne porta dietro un altro: contrariamente alle apparenze, le disuguaglianze – che pur abbiamo imparato a riconoscere dalle voci statistiche – crescono, si inaspriscono e decretano degli esiti inaspettati. Basta dare uno sguardo alla mappa del voto: Cosolini si prende il centro città e l’altopiano (storicamente a sinistra), ma Dipiazza sfonda nella periferia triestina, Valmaura, Borgo San Sergio, Servola, Rozzol.

Tratta da “Il Piccolo”

Questo per quanto riguarda i votanti. Perché ormai, anche se fingiamo di dimenticarlo, i dati dell’affluenza falsano prospetticamente il risultato. Dopo un primo turno che per poche unità era riuscito a superare il 50% di affluenza, il secondo si ferma al 47%. Cioè, tradotto, fisiologicamente si sta consolidando la prassi per cui una buona metà di elettori preferisce astenersi. A nulla serve la presenza social. Un dato che colpisce pesantemente i giovani: non è un caso che vinca il candidato che parla meno a loro. Al primo confronto dei candidati sindaco in Università, Dipiazza era stato l’unico a dare forfeit. Ha partecipato poi, sempre in Università, a quello del ballottaggio, ma nello stesso giorno ha mandato un sostituto più “adatto” all’affollato confronto organizzato da un gruppo di giovani sotto l’insegna della campagna Tryeste (qui la pagina facebook).

Ora, finita la consueta baraonda di parole e promesse di trasversale provenienze, inizia la vera partita, l’amministrazione della città. Dipiazza conferma l’impressione di volersi presentare come “sindaco sceriffo”, come titola il quotidiano cittadino: il suo primo atto è infatti quello di mandare una pattuglia in Viale XX Settembre (dove una raccolta firme di commercianti e abitanti della zona aveva chiesto più sicurezza) e di “ripulire” da materassi e altri oggetti la zona della Sala Tripcovich, dove stazionavano persone che un tetto non ce lo avevano. Si risolve poco, ma si fa passare un’immagine, anche a buon costo: in fondo si trattava del suo primo giorno. Intanto, le questioni – quelle vere, profonde – montano. Su facebook parte il countdown per il closing party della ferriera di Servola, dopo che Dipiazza in campagna elettorale aveva annunciato – in maniera volutamente ambigua – la chiusura dell’area a caldo. In più si era presentato in diretta tv, aveva tirato fuori un documento con le tappe dei suoi primi cento giorni per arrivare (o avviare?) alla chiusura dell’area a caldo e aveva coronato il “colpo” mettendoci la sua firma a favore di telecamere, per dimostrare il suo impegno. Il suo personale contratto con i triestini. Oggi, su twitter, più realisticamente scrive: “Il Comune di #Trieste non è garante dell’attività di Arvedi; è garante dei cittadini nel controllo della #Ferriera di Servola”. Il passaggio di consegne.