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Tutte le sfide dell’istruzione al governo Renzi

Dall'edilizia scolastica fino alla formazione degli insegnanti, la strada per una scuola migliore si preannuncia in salita

Di . Pubblicato in News, Studenti, Università, Università e Ricerca

Pubblicato venerdì 14 marzo 2014

Il Governo Renzi ha fin da subito esordito mettendo in chiaro il ruolo primario dell’istruzione nel suo disegno per far “cambiare verso” all’Italia. Nei discorsi alle Camere, così come dalle dichiarazioni che hanno seguito l’insediamento, sembra effettivamente che qualcosa si stia muovendo.
Premier e ministro Giannini non hanno annunciato una poderosa riforma dell’istruzione, come tentato da tutti gli ultimi governi, solitamente sempre con risultati modesti che spesso e volentieri hanno finito per moltiplicare le inefficienze ed i nonsensi del nostro sistema scolastico. Le visite alle scuole da parte del Presidente del Consiglio, programmate per ogni mercoledì, sembrano rappresentare un cambio di passo nella concezione della rilevanza della scuola e del mondo che le gravita attorno. Ad ogni modo, la proposta “zero” del governo Renzi è stata partire dall’edilizia scolastica. Il Governo vuole mettere in sicurezza tutti i 36 mila edifici scolastici italiani, procedendo durante il periodo estivo ad un massiccio lavoro di messa a norma. Per farlo, durante l’ultimo Consiglio dei Ministri, ha deciso lo stanziamento di 3.5 miliardi, fondi ai quali si potrà accedere tramite delle procedure burocratiche semplificate. Con questo intervento si spera non solo di dare un pò di sollievo all’economia del paese, ed in particolare a tutte quelle imprese edili spezzate da anni di crisi, ma di ridare anche dignità a tutti quegli alunni costretti a stare in classe con l’ombrello nei giorni di pioggia (è successo a Foggia) ed al loro diritto all’istruzione.

Il Premier Renzi durante una delle sue visite settimanali alle scuole di tutta Italia.

Il neo-ministro Giannini eredita dal suo predecessore Carrozza un abbozzo di piano per la riqualificazione del personale docente. Tanto il titolare uscente che quello entrante sanno che questa è una partita dalla quale non si può prescindere se si vuole far ripartire la scuola italiana. Bisogna innanzitutto puntare sulla qualificazione digitale del personale docente nonché su dei piani di aggiornamento seri e perpetuati nel tempo. In questo momento abbiamo gli insegnanti più vecchi d’Europa, oltre il 62% è over 50. Questo alimenta fenomeni di baronismo e non permette alla classe docente di avere una carriera vera e propria in quanto manca qualunque meccanismo di valutazione o di meritocrazia. Non sorprende quindi che, nonostante nelle nostre università insegnino magnifici dottori con molteplici lauree sulle spalle, questi non riescano ad aver ragione di semplici proiettori, finendo sempre per soccombere all’onniscienza del personale delle portinerie. Questa battuta vuole solo richiamare l’attenzione su un’altra partita, quella dell’impiego della tecnologia negli istituti italiani, parametro per il quale ci troviamo immancabilmente in fondo alla classifica in Europa.

Per dimostrare che l’istruzione non è la classica vetrina dalla quale lanciare slogan senza però alzare un dito per migliorare le cose, il governo Renzi deve ricordare che il Bel Paese investe davvero poco per la formazione dei suoi giovani. Siamo ancora fanalino di coda tra i cugini del resto del continente con la spesa per l’istruzione che si attesta al 4,2% del PIL, contro una media UE che si attesta al 5,3. Questo ha un immediato riflesso sull’andamento delle cose al di fuori del magnifico mondo dei numeri. L’esecutivo deve infatti prendere atto del fatto che l’Italia è uno dei paesi con la maggiore dispersione scolastica d’Europa. Da noi i ragazzi che come titolo di studio presentano solo la licenza media sono bel il 17,6%, peggio di noi solo Spagna, Malta e Portogallo. La scuola superiore tra l’altro, nonostante una parziale ripresa, mostra ancora gravi deficit nelle materie scientifiche in termini di preparazione complessiva degli alunni. All’università le cose non vanno meglio: in 10 anni la percentuale di giovani che sono passati dagli studi superiori a quelli universitari è calata di 14 punti (dal 70 al 56%). Questo significa che nonostante il ruolo centrale che rivestono i laureati nello sviluppo del paese noi ne abbiamo e ne avremo sempre di meno. Ecco un altro punto da considerare per Renzi, nella speranza che cominci ad investire nella scuola come ha sempre detto di voler fare. Le scialuppe di salvataggio sono finite, così come le scuse per evitare di salvare una nave che rischia sempre più di affondare una volta per tutte, portando in fondo all’oceano tutti i tesori che custodisce nella stiva, e non sono pochi.

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