Artefatto 2015: «la fotografia deve insegnarci a scegliere»

Il secondo appuntamento con Artefatto 10 ci fa parlare di fotografia con Christian Giarrizzo, fotografo viaggiatore che ha spiegato oggi a dei giovanissimi aspiranti fotografi, che hanno partecipato ad un progetto sugli scorci di Trieste, come trovare la propria dimensione e il proprio personale equilibrio nelle fotografie cercando anche di vedere come suggerire qualcosa di nuovo pur rappresentando luoghi consueti come gli scorci della nostra città (qui il link dello streaming).

Ci racconti qual’è l’idea di fondo del progetto?
È una cosa interessante questa in collaborazione con Artefatto perché ci permette di dare degli spunti di Trieste nuovi; una fotografia, infatti, può essere interpretativa al 100%. Ci sono zone della città che vediamo ogni giorno ma che cambiano ogni ora a seconda della luce quindi questo è un ottimo esercizio per i fotografi per vedere cose usuali con occhi nuovi.

Come è avvenuta la selezione?
Seguendo tre parametri che per me sono fondamentali: le emozioni, la tecnica e l’esposizione della fotografia. Ma va ricordato comunque che il lavoro migliore è soggettivo perché nella fotografia la soggettività è sempre al massimo.

Come si può scoprire nuovi lati della propria città?
Bisogna innanzitutto scollegarsi dalla routine, quando viaggi basta uscire dal nostro zona di sicurezza e già vediamo le cose con mente più aperta, anzi le vediamo per davvero, quindi bisogna scollegare la realtà di ogni giorno e cercare dei nuovi modi per vedere le cose solite. Il grande fotografo Yamashika dice che ci sono almeno 4 fotografie valide che si possono fare in ogni luogo dove ci troviamo, basta abituarsi a vedere forme colori ombre, quindi bisogna solo avere la pazienza di cercare.

Questo è indubbiamente un periodo di successo per fotografia, questa fama è davvero un vantaggio o rischia di svilire un po’ il livello artistico di un fotografo?
Diciamo che bisognerebbe dissociare due cose: da un lato le marche di tecnologie per fotografi ci bombardano di pubblicità in cui viene lanciato il messaggio se hai una macchina fotografica sei un fotografo, questo può essere positivo perché si pone molta attenzione alla tecnica però non aggiunge nulla al valore artistico; dall’altro lato, invece, bisogna sapere che ci sono fotografi che si impegnano anni per una sola fotografia e per i quali l’attrezzatura è solo la punta dell’iceberg. Bisogna affrontare la cosa con umiltà. Ora infatti la forza del fotografo è proprio quella di non fare fotografie ma di mettere giù la macchina perché potendone fare potenzialmente infinite (o comunque migliaia) con una sola macchina non siamo più abituati a scegliere degli scatti in base al loro valore.

Tu quando hai capito che la fotografia era il tuo settore?
Nel 2006, ho capito che amavo viaggiare perché mi portava in giro la mia macchina fotografica assieme alla volontà di esprimermi attraverso le mie fotografie. Là ho capito che il vettore della mia felicità era quello, ciò che mi rende felice e dunque cambia la qualità intrinseca della mia vita, e che doveva essere perciò quello che dovevo inseguire.

About Enrico Schleifer

Studia musica al Conservatorio Tartini e all'Università di Pavia e si rende conto che più si studia la musica meno ci si sente preparati a parlarne. Francamente non lo trova affatto giusto.
  • Disqus
  • Facebook
  • Google Plus