«Parlare di me mi fa male…io sono Julian figlio di un industriale tedesco» è una delle frasi chiave del primo degli undici episodi del dramma Porcile, scritto da Pasolini nel 1966 e trasposto in film nel 1969. In occasione del 40° anniversario della scomparsa di Pasolini il Politeama Rossett,i in collaborazione con il Teatro Metastasio Stabile della Toscana, ospiterà fino al 29 novembre, un riadattamento firmato da Valerio Binasco.
Siamo nel 1967 in una villa a Godesberg, nella Germania post-nazista, ed il protagonista è Julian: figlio venticinquenne di una coppia borghese, «né ubbidiente né disubbidiente», ma che conduce una vita senza scopi né ideali, incapace di ricambiare l’amore di Ida, una giovane donna che vede nell’impegno politico il senso della propria vita. Il ragazzo è così incurante da restare insensibile quando lei lo abbandona per sposare un altro. La sua freddezza non è però incapacità di amare, i sentimenti che Julian prova sono solo “diversi”, una passione strana e misteriosa per qualcosa che non è naturale.
Il suo desiderio lo porta infatti nei porcili paterni in cerca di quell’amore e di quella figura assente, dove trascorre molto tempo per soddisfare la sua inclinazione: la zooerastia. Una perversione che risulterà un duro colpo per i genitori, pronti a tutto pur di nasconderla, e che segnerà la sua condanna. È questa strana passione a delineare il personaggio fin dal suo esordio sul palco, ne cadenza i ritmi e diventa il simbolo del suo disagio, lo stesso di chi non si riconosce nella società in cui vive e che ancora vede gli ebrei come dei maiali.
Nelle opere pasoliniane la figura del Padre è per lo più assente e anche in Porcile, per quanto inserita nella trama, resta comunque in secondo piano, acquisendo forza solo nel momento in cui rifiuta e nasconde la mostruosità del figlio. Un gran spettacolo, una rilettura dell’opera che forse a Pasolini non sarebbe piaciuta, un cast di attori capaci di dare una lettura e un’interpretazione molto profonda.
Il porcile è sporco e ogni personaggio si sporcherà; Binasco scrive nelle sue note di regia «Porcile non fa prigionieri. Condanna tutti, dal primo all’ultimo. Non c’è redenzione, non c’è possibilità di salvezza in questo mondo soggiogato in modo, oramai, antropologico. Non c’è speranza in questo porcile dove tutti mangiano tutto, dove il solo deve essere il tutto».
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