Un Principe Ranocchio favolosamente rock

“C’era una volta in un paese lontano, lontano…” inizia così, con una voce narrante fuori campo, Il principe ranocchio, andato in scena domenica 28 novembre al Teatro Bobbio di Trieste all’interno del Circuito Family Show della Contrada.

Il musical liberamente tratto dalla fiaba dei Fratelli Grimm, scritto e diretto da Melina Pellicano e con le musiche di Marco Caselle, Stefano Lori, Gianluca Savia è una produzione di prestigio tutta italiana.
La storia narra del principe Frog vittima di un incantesimo della crudele strega Baswelia trasformato in un brutto ranocchio e costretto quindi a vivere in uno stagno; il principe però non è tutto solo, al suo fianco c’è Gerard aiutante e amico fedele dai tratti decisamente eccentrici. L’incantesimo svanirà solo quando il principe riuscirà a farsi baciare, amare ed accettare da una fanciulla, ed ecco che il ranocchio cercherà di conquistare l’amore della principessa Lilian poco incline agli obblighi di corte e amante della libertà; ma non sarà così facile perchè Baswelia saputo dell’incontro fra i due principi farà l’impossibile per impedire il loro amore.

Lo spettacolo è romantico, come ogni fiaba che si rispetti, ma al tempo stesso moderno e ironico, cantato quasi tutto dal vivo con musiche rock e funky quando sul palco arriva la strega, passando al pop se in scena c’è il principe Frog, per non parlare della dance che si scatena con Gerard fino a richiamare grandi classici quando i due principi duettano insieme.
La scenografia in stile barocco e i toni dorati richiamano il mondo magico e fantastico della fiaba e dei suoi protagonisti ma la regista, nella rilettura della storia,ha voluto dare un’impronta moderna caratterizzando i personaggi come fossero fumetti con costumi variopinti e dai colori accesi.
Un musical con effetti speciali, vivace, colorato che ha conquistato grandi e piccini rendendoli protagonisti e non solo spettatori e che ha saputo trattare con sfumature leggere il tema della diversità rendendolo valore e non timore come sottolineato dalle parole della stessa regista: “Ciò che non ci è familiare ci fa paura e ci destabilizza, al contrario, se guardassimo con interesse alla diversità, potremmo scoprire delle possibilità che non farebbero altro che arricchirci“.