Quando mi chiedono che cosa fa un critico musicale so già che in realtà non ascolteranno la risposta perché ormai la critica viene considerata un gioco di opinioni e il mestiere del critico (che sta morendo) sembra consistere semplicemente nel convincere gli altri della superiorità del suo gusto personale. Pochissimi dei più giovani (e quasi nessuno dei miei coetanei) sa però che la critica ha avuto, negli anni d’oro della musica rock, pop e underground, un ruolo fondamentale a valorizzare gli artisti che avevano in effetti qualcosa in più da dire rispetto agli altri. Ho avuto la fortuna di discuterne con Max Stefani, che da decenni ormai si occupa di critica musicale. La vecchia volpe del rock italiano ha fondato e gestito riviste come Mucchio Selvaggio e Outsider (che purtroppo ha chiuso di recente) che hanno di fatto portato dei generi musicali in Italia e qualcuno considera ancora le uniche riviste serie pubblicate.
Com’è cambiato il panorama della critica musicale negli ultimi 40 anni? In che modo negli anni ’70 i giovani cercavano informazioni sugli artisti e come mai invece ora ne cercano meno?
Ovviamente in tutto. Non c’erano i cellulari, non c’era la tv, non c’era internet. La comunicazione in quel mondo era completamente diversa. Non era semplicemente accessibile. I giornali erano l’unica fonte d’informazione possibile. E dovevano essere italiani perché nessuno parlava inglese o francese. Ovviamente con internet dove raggiungi tutto è venuta meno l’esigenza dei giornali musicali. Che senso ha comprarli quando trovi tutto prima (notizie, foto, live, dischi) sulla Rete? E tutto gratis? Puoi accettare di spendere per un giornale solo se ti offre di più. Magari approfondimenti che non trovi in Rete, ma non mi pare che l’editoria musicale italiana offra oggi ciò. Riviste come ‘Blow Up’, ‘Rumore’, ‘Mucchio’ sono inutili. E infatti non vendono più.
Il web ha anche dei limiti oggettivi di comunicazione?
Ovviamente ha dei limiti. Ne senso che bisogna avere la capacità di discernere tra il vero e il falso. Non c’è nessuna garanzia che ciò che ti viene offerto è vero o sensato. Wikipedia è per certi versi indispensabile ma c’è molta fuffa. Insomma se l’offerta è enorme la robaccia è altrettanto enorme. Non è così per molti blog che offrono se la firma è onesta e preparata, buon materiale, ma per quanto riguarda il rock, bisogna andare su quelli a lingua inglese.
La musica indie come è cambiata rispetto agli anni ’90? ora ha davvero senso parlare ancora di etichette indipendenti?
La musica ‘indie’ non è mai esistita. Esistevano delle etichette indipendenti, cioè piccole, fatte in casa, che scoprivano degli artisti, li lavoravano bene nella speranza di farci soldi. Se ci riuscivano, li vendevano subito a qualcuno più grande di loro. Fungevano da talent scout. spesso erano più bastarde delle cosiddette ‘major’.
Quali sono i principali limiti di una rivista cartacea musicale?
Vista la concorrenza di internet, devono fare la sola cosa che internet non può fare. Approfondire. Quindi offrire un prodotto molto alto di qualità. Come scrittura, argomenti, foto, carta. Cercando così di toccare anche il target alto, sia di gusti che di età. Ormai quelli sotto i 30 anni non sono più attirati dai giornali. Questo fatto è molto forte in Italia e meno nei paesi anglosassoni, dove c’è sempre stata una maggiore attenzione verso la lettura. però anche lì le cose non vanno molto bene. Una rivista come ‘Mojo’ ha perso tantissimo in qualità rispetto agli inizi. Si vede che tirano a campare. Evidentemente perché le entrate sono minori. La mia iniziativa di OUTSIDER, che era una rivista di altissima qualità rivolta al 90% al passato, tutta tradotta sull’esempio del settimanale ‘Internazionale’, era forse l’unica possibile variante positiva sul mercato italiano ma è un dato di fatto che anche lì ormai il piatto è sempre più piccolo (notizia di oggi, infatti, è che anche una rivista come Wired ha praticamente chiuso con la versione cartacea della rivista n.d.r.).
Qualche commento sulla critica rock in Italia?
Vorrei chiarire una cosa. L’Italia è ai confini dell’impero. È un paese satellite rispetto al rock. Noi non abbiamo mai capito cosa fosse, lo abbiamo vissuto e lo viviamo come attraverso uno specchio deformato. Questo vale sia per i musicisti che per la critica. Noi stiamo all’Inghilterra e all’America come la Tracia all’impero romano. Non contiamo un ca**o. Tutti i nostri grandi artisti, siano Afterhours o Vasco Rossi, dopo 10 km passate le Alpi sono niente. Lo stesso vale per la critica. E allora cosa sei? Che valore ha quello che scrivi? Niente. Parliamo e scriviamo di cose che non conosciamo. Le riviste generaliste ancora peggio. Una volta magari 4 pagine su L’Espresso potevano farti vendere qualche copia in più o alzarti il compenso di un tour ma oggi cadi nell’indifferenza generale. Inoltre ormai non c’è più nessuna selezione nello scegliere un giornalista. l’importante è che lavori gratis.
In che modo la critica ha contribuito a creare mode in Italia?
Credo che il giornale che abbia avuto più influenza sul mercato sia stato Ciao 2001. La passione per il progressive è nata su quelle pagine. Come il fatto di spingere il pubblico italiano più sull’Inghilterra che sull’America. Il Mucchio egli anni settanta/ottanta ha dato del suo per scoprire e spingere gruppi rock americani, più o meno legati alla tradizione (Springsteen, Allman, Little Feat, southern rock etc) e al country.
La critica insomma, se fatta bene, non è inutile, anzi può persino contribuire a formarsi un giudizio critico, persino quando il lettore è in disaccordo con il critico. Ma si sà, se a sostenere una tale posizione rimarranno solo i critici, chi ci crederà mai?
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