La guerra non è fatta solo di armi, battaglie e territori da occupare, ma soprattutto da uomini, persone in carne, ossa e sentimenti, che sono costretti a combattersi: è quanto emerge dalla lettura di due libri presentati l’8 giugno 2013 a San Martino del Carso, in provincia di Gorizia, nel corso di un dibattito moderato da Lucio Fabi, che aveva come tema la guerra di trincea sul monte San Michele durante il primo conflitto mondiale, descritta dal punto di vista dei soldati austro-ungheresi.
Ospiti dell’incontro sono stati Guido Alliney, docente di storia e filosofia all’Università di Macerata, e Roberto Todero, ricercatore e studioso triestino della Grande Guerra, rispettivamente curatori del libro Marcia nel caos di Josef Hofbauer (Nordpress, 2000) e di Stasera andremo in fuoco Iddio me guardi. Lettere di un Honvéd fiumano dal Monte San Michele, uscito come secondo volume della Collana Sentieri di pace.
Marcia nel caos di Josef Hofbauer, pur essendo un romanzo, ha una toponomastica molto dettagliata in cui vengono indicati precisamente giorno, ora e luogo degli spostamenti del diciassettesimo Reggimento di fanteria austriaco. I protagonisti sono un impiegato austriaco proveniente dalla media borghesia, divenuto soldato quasi per caso, e i suoi commilitoni. Caratteristica principale di questo lavoro è di essere un romanzo di gruppo. Questo reparto, a maggioranza slovena all’inizio della guerra, già nel 1916 viene rimpolpato da compagnie di marcia, tra cui quella del protagonista. Vengono così a mischiarsi tre etnie: i cechi, i quali preferirebbero non andare in guerra né contro gli italiani, né contro i russi, ma che mirano all’indipendenza, gli austriaci, contrari anch’essi alla guerra, e gli sloveni, favorevoli alla guerra poiché temono che l’Italia voglia occupare le loro terre. I soldati, convinti di combattere l’ultima grande guerra, si affidano ad un’autorità suprema come Dio, con l’unico pensiero di salvarsi la pelle.
Stasera andremo in fuoco Iddio me guardi è invece una raccolta di undici lettere e quarantasette cartoline che Heinrich Weichandt, soldato di origine tedesca di un reparto ungherese proveniente da Fiume, invia alla famiglia. Queste lettere riportano con estrema spontaneità momenti di vita di guerra nelle trincee del monte San Michele dal 7 agosto al 20 ottobre del 1915. L’autore della corrispondenza, un artigiano calzolaio, scrive in un italiano stentato con interferenze di tedesco, sua lingua madre, ungherese e croato. Proprio a causa del suo plurilinguismo e per il fatto che dal marzo del 1915 l’obbligo di leva venne esteso dai 18 ai 52 anni, il quarantunenne Heinrich si trovò ad essere richiamato come interprete, incaricato di ascoltare e intercettare i dialoghi provenienti dalle trincee italiane.
Dalla corrispondenza di Weichandt si evince la volontà di partecipare alla vita familiare pur essendo al fronte. In particolare, egli redarguisce i figli incitandoli a proseguire gli studi. Alla famiglia Weichandt fa altresì richieste precise, come mandare pacchetti da 35 deka, cioè da 350 grammi, contenenti acido citrico, due fiaschette di Diana, carta da lettere e cartoline feldpost, ma anche mutande o uno spago per pulire l’arma, oltre a sapone, cioccolata e salame: segno della scarsità di provviste in dotazione all’esercito austro-ungarico, contrariamente a quella che era la percezione da parte italiana di una struttura sempre preparata, efficiente e determinata. Heinrich descrive ai suoi familiari il rumore sordo delle granate e dei tiri di shrapnel, manifesta speranza nella fede per salvarsi, parla della condizioni di vita aberranti, tutti bagnati e con i pidocchi, del grande senso del dovere e della patria che lo spinge a continuare nella battaglia.
L’ultima cartolina prima della sua morte è datata 20 ottobre 1915, i giorni sono quelli delle fasi cruciali della terza battaglia dell’Isonzo. Weichandt racconta di un inferno in cui le granate shrapnel volano sopra le teste dei soldati, impossibilitati ad uscire dalle trincee, ma anche del cibo abbondante. La sua scomparsa sarà comunicata alla famiglia tramite cartolina soltanto un anno dopo, il 16 ottobre 1916. In essa si rende noto che la morte del soldato è avvenuta a causa di una ferita alla testa.
di Eva Vuch
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