In occasione della presentazione in Università (venerdì 20, alle ore 17, nella sede di Via Filzi) del nuovo fascicolo di aut aut “Con Nietzsche”, organizzata dall’associazione “Charta Sporca”, abbiamo chiesto qualche anticipazione ad Andrea Muni, uno dei redattori della rivista che saranno presenti all’incontro.
C’è ancora spazio per Nietzsche nelle università?
Come racconta lo stesso direttore di aut aut Pier Aldo Rovatti in apertura di questo fascicolo su Nietzsche, è probabile che l’approccio al sapere di Nietzsche sia quanto di più lontano dall’esperienza del sapere che troviamo nelle retoriche autocelebrative di quasi tutte le università. L’università, come istituzione, si qualifica tradizionalmente per essere il luogo in cui il sapere si trasmette in stile “bonifico bancario”, in maniera verticale, senza che possa mai essere messo in gioco, né in discussione, quello che è il nostro quotidiano rapporto di deferenza nei confronti del sapere e di coloro che se ne fanno portavoce. Questo perché il sapere è ancora concepito abitualmente come una forma di rapporto privilegiato con la verità, mentre, al contrario, quello che Nietzsche ci dice è che prima del sapere in generale, esiste una certa disposizione critica e pulsionale a ciò che si conosce. Quello di Nietzsche con il sapere è perciò certamente un rapporto non funzionale al mondo in cui viviamo. Che Nietzsche possa quindi rientrare nell’Università è certamente un auspicio, a cui potremmo aggiungere - almeno - la precisazione che certamente non sarà per “dare una mano”.
Come si possono costruire degli spazi per il pensiero critico, anche fuori dalle università, allora?
Forse riscoprendo – a tutti i livelli dei nostri legami sociali - il risvolto inedito di quella competitività che tanto spesso critichiamo. Mi spiego meglio: si tratterebbe di praticare una sorta di parodia della competizione, una parodia che - mentre mostra fino a che punto vittorie e sconfitte defluiscano le une nelle altre – sia capace di mostrare la via ad una soddisfazione da incontrare nel giocare e nello sfidarsi, nel perdersi e nello scriversi negli altri. Anche questo è un modo di tornare a Nietzsche, un modo con cui provare a declinare nella pratica uno dei suoi più importanti insegnamenti.
E voi ritenete, con Charta Sporca e aut aut, di portare avanti questo tipo di approccio “nietzscheano” alla verità e al sapere?
Non è mai bello dirselo da soli, anzi direi che è impossibile. È questo il motivo per cui, quando si cerca di mettere in campo discorsi e presentazioni che mirano a certi effetti, è fondamentale incontrare le persone, sottoporre questo tipo di lavoro all’attenzione degli altri, anche per capire se è veramente critico e autocritico – ed è precisamente questo quel che desideriamo fare organizzando l’incontro di domani. Nel caso di aut aut, l’idea è stata quella di ripartire da una serie di interventi eterogenei, accomunati soltanto dal desiderio di ripartire da zero, senza debiti o pegni teorico-filosofici. Questa è l’ambizione del fascicolo, anche perché - come forse è noto negli ambienti filosofici - negli ultimi tempi la figura di Nietzsche ha subito una serie di attacchi, anche brutali, che l’hanno collegata contemporaneamente al nazismo e alle peggiori sirene capitaliste. Molti tra noi credono che le cose stiano esattamente al contrario, e cioè che Nietzsche, e un suo uso anche spregiudicato, sia una possibile via d’uscita alle dominanti esperienze della verità, del sapere e della soggettività.
Che significa una “via d’uscita”?
Per riassumerla in una battuta, si potrebbe dire che quello che Nietzsche ha fatto è stato aggredire l’idea di soggetto che ha permeato le due dominanti correnti politico-morali degli ultimi secoli (liberalismo/socialismo). Lo ha fatto senza alleati, lo ha fatto nella sua vita, fino alla follia… non avere complici verità – infatti, tragicomicamente – potrebbe essere una possibile definizione della follia.
Allora come si può stare “con Nietzsche”?
Forse semplicemente, e paradossalmente, tradendolo. Ne avevamo parlato anche nella presentazione della settimana niciana di Charta Sporca: alla fine, forse, quando si ama qualcuno, l’unico modo per non arrivare a odiarlo è continuare a deformarlo e tradirlo, reinventarlo e restarne al contempo sempre nuovamente sconvolti.
Cosa vi ha spinto a scegliere Nietzsche come tema di quest’ultimo numero di aut aut?
L’idea del fascicolo è esplorativa, si tratta anche – come anticipato – di vedere quali possano essere le reazioni ad un’iniziativa di questo tipo. Vogliamo vedere se c’è ancora voglia di leggere Nietzsche, di leggerlo nell’unico modo che non lo mummifichi, cioè lasciando che ci faccia almeno un po’ male.
Nietzsche è infatti molto letto e citato, ma spesso come una sorta di vangelo, di figurina, o di passe-partout buona per ogni occasione.
Esattamente, si tratta di capire quale Nietzsche ci interessa. Nell’introduzione di Rovatti al volume si lamenta giustamente che oramai le due immagini di Nietzsche che abitano la nostra quotidianità sono o quella di uomo incoerente, di un folle e di un nazista, o quella di un visionario profeta da museo. Ecco, leggere Nietzsche non può essere come trovare una frase su un bacio perugina. E questo ci riporta alla precedente questione del sapere: nel mio intervento su aut aut riguardo a questa questione concludo, forse provocatoriamente, che bisogna riscoprire il piacere, o il dispiacere, di lasciarsi fare del male, di lasciarsi colpire dalle parole di Nietzsche. Alla fine leggere Nietzsche è un po’ come ascoltare i Nirvana: puoi guardarti il video di Smell like teen spirits, oppure ascoltare Bleach… dipende da quanto hai voglia di farti male. Allo stesso modo, Nietzsche può essere letto e citato prendendo a piene mani dai siti di aforismi, o aprendo da pagina uno la Genealogia, leggendola fino a dove fa più male. È allora che le cose cambiano.
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