Verso il 17 aprile: non solo ecologia

Verso il 17 aprile: non solo ecologia

Costanza: “Sono combattuta ma nonostante ciò so che andrò alle urne perché è un mio diritto. Secondo me è un referendum che si basa molto sull’ignoranza delle persone: molte non sanno neanche cosa sia un referendum abrogativo e in questo modo pensano di barrare il “no” per opporsi alle trivelle”.

Francesca: “Non so se andrò a votare: non voglio venga raggiunto il quorum. Non è un referendum che si propone un cambio epocale. Se si trattasse dell’energia rinnovabile mi precipiterei al seggio ma, se se dovessero vincere i “sì”, non cambierebbe un granché: le trivelle verrebbero solo spostate di qualche metro.”

Lunedì 11 aprile, il Collettivo Up – Attivismo critico, presso il Lab15 di via Valdirivo, ha organizzato un dibattito per discutere del referendum del 17 aprile. Martina, una delle organizzatrici, ha detto che questo incontro si è reso necessario vista la poca pubblicità -che è stata fatta soprattutto sui social- e dal momento che mancano davvero pochi giorni. Molti di quelli che andranno –o non andranno- a votare lo faranno senza aver approfondito a pieno la questione e senza aver cercato informazioni.

Angelica: “Secondo me c’è stata molta più pubblicità per il “sì” che per il “no” e per questo non so ancora cosa voterò: ho bisogno di più informazioni perché non voglio essere influenzata dalla propaganda noTriv. Secondo me non si raggiungerà il quorum perché di base le persone sono disinteressate delle questioni di carattere ambientale. Per questo, secondo me, andranno a votare soprattutto i giovani visto che sono più interessati alla tematica e perché è stata fatta molta più pubblicità sui social. Ciò che mi sembra strano è che non abbiano voluto organizzare il referendum in concomitanza con le elezioni amministrative.”

Il Collettivo Up si pone il compito di sensibilizzare e di rilanciare il dibattito che a Trieste è stato per lo più taciuto e realizza questo compito invitando alcuni ragazzi di Greenpeace e Saul Ciriaco, ricercatore dell’Area Marina Protetta di Miramare.

Francesco “Io so già per cosa andrò a votare. Ho partecipato a questo dibattito perché è un’occasione per sentirsi partecipi ad un confronto. Sono convinto che chi si mobilita per cambiare le cose è più interessato ad organizzare incontri e conferenze”.

Il referendum è il primo della Storia Repubblicana ad essere stato incoraggiato dai Consigli Regionali: nel settembre del 2015 dieci Regioni italiane hanno promosso sei questioni e possono ritenersi in parte vincitrici dal momento che, tra le sei richieste, cinque sono già state soddisfatte da emendamenti della legge di stabilità approvati nel novembre dello scorso anno.

Il 17 aprile, quindi, si andrà a votare per l’ultima questione, ovvero quella che fa riferimento al divieto di trivellare entro le 12 miglia. Le trivelle in questione sono oggi 88 di cui 8 non sono in produzione e 31 non sono eroganti.

Secondo Saul Cirico, che guarda all’ambiente dal punto di vista professionale, la vittoria del “sì” o quella del “no” non porterà a cambiamenti di rilievo in ambito ecologico: il mar Adriatico è un un mare abbastanza chiuso colpito principalmente dai trasporti, dalle trivellazioni, dai giacimenti, dalla pesca e dal turismo sia sulla costa italiana che su quella croata, montenegrina, albanese e greca. Inoltre, se il referendum vincesse, in Italia arriverebbero più petroliere provenienti da altre parti del mondo aumentando il rischio di inquinamento del Mediterraneo. Il ricercatore crede, infatti, che per convincere le persone ad andare a votare si debba puntare poco sull’ecologia quanto piuttosto sull’economia: il referendum deve avere il significato di opposizione a un sistema economico che punta poco sull’energia alternativa e rimanda, quindi, alla politica industriale ed economica. Secondo i ragazzi di Greenpeace questo è un referendum nazionale che però si colloca in una situazione politica e ambientale globale e l’eventuale vittoria dei “sì” dovrebbe spronare il governo ad investire sull’energia rinnovabile. Allo stesso tempo, però, non si tradurrebbe in un’immediata politica a favore dell’energia alternativa.

Bisogna anche ricordare che le piattaforme non portano una grande ricchezza all’Italia dal momento che le royalties imposte sono tra le più basse al mondo –circa il 7% del valore del petrolio estratto in mare e al 10% di quello estratto a terra-. È anche vero, però, che l’Italia estrae il 10% del gas e del petrolio che utilizza e che l’eventuale vittoria dei “sì” non farebbe che aumentare l’importazione di gas e petrolio da altri paesi come il Libano o l’Egitto che, tra l’altro, trivellano nello stesso mar Mediterraneo che il referendum vuole preservare.

Uno dei punti su cui si è discusso molto riguarda i posti di lavoro. Cirico afferma che sulle trivelle non lavora quasi nessuno e che, quindi, un’eventuale chiusura –che non sarebbe immediata- non porterebbe ad un licenziamento di massa. Suggerisce di riassumere gli eventuali addetti disoccupati in aziende per la produzione di energia rinnovabile. Pensa anche che l’Italia, invece che puntare sulle riserve dei fondali marini che coprirebbero il fabbisogno del paese per solo 7 settimane, dovrebbe pensare all’impatto estetico e turistico che avrebbero le trivelle stanziate nei mari territoriali. Dal canto loro, le società petrolifere ricordano che alle località della riviera romagnola –che ospitano una quarantina di piattaforme- l’anno scorso sono state assegnato nove bandiere blu come simbolo del mare pulito.

In ogni caso ciò che soprattutto traspare, non solo da questa conferenza ma anche dalle cose scritte sul web e sui social, è che si tratta di un referendum illegittimo visto che si basa sull’ignoranza e sulla disinformazione –nonché sul disinteresse- degli aventi diritto al voto.

  • Facebook
  • Disqus
  • Google Plus