Australia, terra lontana nella quale tantissimi nostri connazionali ripongono le loro speranze per un futuro che in Italia gli viene negato. In un primo momento il fenomeno dell’emigrazione verso questa nuova terra promessa, che da 22 anni vede la propria economia crescere senza alcun tentennamento, si è caratterizzato come la classica fuga di cervelli: laureati del Bel Paese che, stufi di non veder riconosciute le loro qualifiche in madrepatria, decidono di volare verso nuovi nidi. Tuttavia, con la crisi economica del 2008 la situazione si è talmente deteriorata che i giovani italiani fuggono all’estero in cerca di qualsiasi lavoro, compresi quelli di bassa manovalanza. Ed è su questo presupposto che si basa l’imponente ondata migratoria che ha portato 15 mila nostri connazionali nella terra dei canguri.
Non tutti sembrano però aver trovato ciò che cercavano. Una trasmissione locale australiana, chiamata “Four Corners“, ha raccontato la dura realtà che tantissimi giovani, italiani e non, sono costretti a vivere per poter sperare di costruirsi una vita in Australia. Ciò è dovuto essenzialmente alla natura del visto di “vacanza lavoro” il quale dura un anno e, per poter essere rinnovato per ulteriori 365 giorni, richiede che il candidato abbia eseguito almeno 88 giorni di lavoro nelle aree rurali del paese. Per chi ha superato la soglia massima d’età per questo visto, pari a 35 anni, può unicamente richiedere un visto di studio, il quale ha come corollario lo svolgimento di 8 ore di lavoro la settimana nonché l’iscrizione continuativa per tutto il periodo di permanenza ad una scuola del paese.
I requisiti per ottenere o semplicemente mantenere il visto, con la possibilità quindi di rimanere in Australia sono piuttosto stringenti e pongono spesse volte il lavoratore nelle condizioni di essere sfruttato dal datore di lavoro. Questo perché ad esempio, è a quest’ultimo che spetta la dichiarazione delle ore di servizio prestate e, se questa dovesse venire a mancare, il malcapitato si vedrebbe negato il rinnovo del visto di soggiorno. Così comincia una spirale di lavoro nero, sottopagato, con sottosposizione ad turni massacranti per poter continuare a sognare. Le situazioni di degrado giungono fino alle molestie sessuali. Molti giovani soggiaciono a queste condizioni perché sono simili a quelle che hanno vissuto in Italia (in particolare con riferimento al lavoro nero) ma vedono al contempo nell’Australia una terra piena di opportunità grazie ad un’economia che tira ed un sistema molto più meritocratico di quello che hanno sperimentato in madrepatria. A tutto ciò bisogna affiancare un costo della vita che è decisamente superiore a quello del continente europeo e che costringe quindi ad ulteriori sacrifici per sbaracare il lunario.
Ad ogni modo i racconti dei tanti, giovani o meno giovani, che si sono recati dall’altra parte del mondo concordano tutti su di una cosa: se non vuoi essere sottoposto a vessazioni ed abusi, l’unica strada è sapere l’inglese ed avere qualche skill richiesta dal mercato del lavoro locale. Le farm invece, classica meta di emigranti senza qualifiche, titoli di studio e con una minima conoscenza della lingua, non possono che offrire tanta fatica e poche possibilità di crescita personale.
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