Che la crisi abbia mescolato parecchio le pedine all’interno dello scacchiere italico già lo sapevamo. Non è stata la sola economia ad essere colpita ma tutto un micro (ma nemmeno tanto) cosmo composto dal tessuto sociale del nostro paese il quale è stato messo a dura prova da questo test di resistenza che, stando agli ultimi dati ISTAT e OCSE, sembra ci stia finalmente avviando verso la fine. All’interno di questo ampissimo ambito del “sociale” sembra che siano stati colpiti anche gli studenti e le loro tendenze nella scelta dei percorsi di studi. Secondo gli ultimi dati pubblicati da Cineca riguardo alle iscrizioni agli atenei nell’anno accademico 2014-2015 le iscrizioni agli atenei negli ultimi 10 anni (7 dei quali coperti dalla crisi economica) sarebbero crollate del 20%. Un dato drammatico soprattutto se affiancato a quello sul totale dei laureati: con i nostri 37 mila dottori all’anno ci collochiamo esattamente in fondo alla classifica, dominati da un’arrogantissima Romania. Ben fatta!
Andando a scavare nel macro dato appena citato emerge chiaramente un’altra tendenza, la quale vedrebbe tra il calo generale degli iscritti una forte diminuzione di quelli proveniente dalla c.d. classe operaia. Più precisamente, quel 20% in meno sarebbe quasi interamente imputabile alla parte più bassa della società. Questo significa che la crisi ha drasticamente ridotto le possibilità di accesso ai livelli di studio superiore da parte dei figli di situazioni economicamente svantaggiate. In controtendenza invece i licei classici e scientifici che hanno visto un boom di iscritti negli ultimi anni che sfocia poi in un numero quasi duplicato di laureati che hanno seguito questo percorso di studi. La seconda manifestazione del fenomeno appena citata sembra, a dirla tutta, un po’ meno sorprendente considerando il punto di vista che si sta offrendo ai giovani ragazzi delle scuole medie in sede d’orientamento allo studio. Personalmente il percorso, di pochissime ore tra l’altro, potrebbe essere risolto nelle seguenti frasi: “Ti piace studiare? Allora il liceo fa per te” e “Non ti piace studiare, allora dovresti considerare un istituto tecnico che ti prepari al mondo del lavoro”. La questione non può e non dovrebbe essere liquidata così semplicemente vista la giovane età degli studenti ed alla magnitudo delle conseguenze che quella scelta avrà sulle loro vite. Si parla d’altronde di una delle scelte più caratterizzanti della propria esistenza.
In molti sostengono che, a limitare l’accesso alle università italiane, sarebbero delle tasse ormai piuttosto salate più o meno ovunque. Mi permetto di dissentire. Innanzitutto il sistema di aiuto a favore delle famiglie svantaggiate è piuttosto efficiente e dotato di un budget adeguato a sostenere lo studente nelle sue spese legate agli studi, soprattutto se affiancato a tutti i servizi correlati come le case dello studente e le mense. A questo aggiungerei che negli ultimi anni, in particolare per quanto riguarda l’ateneo triestino, si è fatta particolare attenzione per garantire il diritto allo studio, fino a ridurre in parte i premi legati al “merito” per poter favorire le situazioni svantaggiate. Tra l’altro, volendosi mettere si di un piano globalizzato, la situazione italiana presenta un rapporto qualità-prezzo straordinariamente alto. In particolare guardando ai sistemi anglosassoni, il nostro ammontare di tasse scolastiche appare molto moderato ed a portata di mano, in particolare per i portatori di valori ISEE piuttosto bassi. In Inghilterra le tasse per accedere all’istruzione di livello superiore sono state triplicate dagli ultimi governi, mentre se volete andare a fare un percorso completo di studi negli Stati Uniti oppure nell’inflazionatissima Australia vi conviene prepararvi ad andare in banca per accendere un mutuo, perché le cifre sono davvero esorbitanti (più di 20.000 $ all’anno). Al contrario direi quindi che il nostro sistema, pur zoppicando ed arrancando, facendo fede più sulla buona volontà ed alla grandissima preparazione dei propri docenti, riesce a garantire standard erogativi eccezionali se confrontati con la controparte versata dai fruitori del servizio. Dunque, dopo tutto, non credo che il calo di iscrizioni nei nostri atenei sia legato a delle tasse che neghino il diritto allo studio quanto piuttosto ad un sistema d’orientamento che spinge i giovani che si sentono meno motivati dagli studi a mollare immediatamente, in favore di quelli più volenterosi che vengono immediatamente eletti a futura classe dirigente, con una perdita di valore umano incalcolabile.
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